Investireste in una società che è legata a doppio filo con Google e i suoi criteri di indicizzazione? Il riferimento non è ovviamente casuale ma punta bello dritto verso Demand Media, azienda da poco in IPO di cui si è parlato ultimamente sia per il modo creativo con cui ammortizza il costo dei contenuti su più anni, sia per la scarsa qualità dei pezzi che producono sulla base del lavoro di decine di migliaia di freelance.
E' bastato un comunicato stampa di Google per far perdere alla società, in un solo pomeriggio, ben 100k dollari di capitalizzazione di borsa. Big G ha infatti dichiarato di aver modificato l'algoritmo di ranking dei risultati di ricerca per dare meno peso ai siti con una bassa qualità del contenuto.
I danni scatenati dal cambiamento apportato dal gigante della Silicon Valley non finiscono qui: Associated Content, acquistata da Yahoo! l'anno scorso per 100 milioni di dollari, non se la passa meglio. Come riporta uno studio effettuato da Sistrix su un milione di keyword ricercate su Google, le pagine di Associated Content sono state fortemente penalizzate con un calo del 93% sul posizionamento, causando un effetto domino su gran parte delle loro proprietà web.
Traffico e ricavi in discesa verticale hanno messo in ginocchio anche Mahalo l'ultima creatura del tanto vulcanico quanto antipatico Jason Calacanis costretta a tagliare da subito il 10% della forza lavoro per cercare di limitare i danni.
La riflessione e l'avvertimento che viene da dare sono immediati: stare bene alla larga dai business incentrati così profondamente sul SEO e con qualità dei contenuti molto bassa. Non posso nascondere che la stessa preoccupazione di vedersi improvvisamente penalizzati da Google l'avevo avuta anche con Blogo: più il traffico saliva e più ci chiedevamo cosa sarebbe potuto succedere qualora Big G ci avesse chiuso i rubinetti e a distanza di anni ho l'assoluta certezza che a tenerci a galla fu proprio la qualità dei contenuti pubblicati.
Per usare altre parole prendo in prestito quelle pronunciate da quel genio di Fred Wilson quando parlando dei costi di marketing per startup ha detto "Live by SEO, die by SEO. Don't be a Google bitch". Mi sembrano calzanti.
E in Europa cosa succede? Per il momento proprio nulla visto che il cambio dell'algoritmo di Google è attivo solo per le ricerche sui siti statunitensi. Tiriamo quindi un sospiro di sollievo, ma tanto per gettare un po' d'ansia, prima di fare mosse azzardate consiglierei a tutti di guardarsi bene attorno.
Se nel frattempo il settore del Content on Demand vi ha stuzzicato, vi consiglio di leggere questo bel pezzo di Wired.
Via http://startup.wikli.it/
Google, il SEO e la dura vita per le content farm
domenica 6 marzo 2011
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